Resto qui
di Marco BalzanoRecensioni degli studenti componenti della Giuria del Premio Strega Giovani 2018
[Recensione di Michael, classe 4^ G, Scuola Italiana Statale di Addis Abeba – Etiopia]
Una donna. Un piccolo paese confinante con la Svizzera e Austria che cessò di esistere per via di una diga, soltanto un campanile a rappresentarne l’esistenza mentre tracce di intere vite vissute sono sepolte negli abissi del lago di Resia. Una seconda guerra mondiale che travolse in modo irreparabile le vite, mettendo figlio contro padre, creando false illusioni di libertà e combattendo guerre per cause ignote perché dettate da ambizioni altrui nelle due fazioni di nazismo e fascismo. Questioni di identità e appartenenza che vengono messe ai traversi della storia mentre al centro c’è il dolore. Il dolore che vive una famiglia nelle suddette circostanze, ma soprattutto il dolore incessante e dominante per la perdita di una figlia, che lasciò per sempre una ferita che sanguina prima in modo insistente ma coll’andare del tempo si trasforma in una cicatrice dolente, mai dimenticato da una madre che racconta e vive tutto di prima persona.
La donna si chiama Trina, e racconta la sua vita nel paese di Curon. Da una giovane che aveva tutta una vita davanti, ostacolata dal fascismo che pianta in lei la ribellione e la resistenza contro gli invasori, prima con loro poi con i nazisti. Nonostante ciò si innamora del contadino Erich e, sposandolo, sposa pure la sua lotta per preservare il suo paese e impedire la costruzione della diga che avrebbe sommerso il suo amato Curon. Insieme crescono una famiglia con il figlio Michael, e la figlia Marica. La fuga con gli zii in Germania fu l’inizio di una serie di eventi che mise a dura prova l’intera famiglia. Tutto ciò lo racconta Trina, come se stesse scrivendo un diario dedicato alla figlia per raccontarle gli avvenimenti, le loro vite senza di lei, le esperienze vissute sotto la guerra e la loro fuga, il dolore, la rabbia, il vuoto e il dolore ancora per una figlia che si è trasformata in un ricordo.
Leggere questo libro è stato un viaggio dentro un’anima, raffigurata dal personaggio di Trina, nella scoperta di emozioni suddivise in amore, coraggio, sofferenze, sogni, lealtà e dell’importanza di guardare sempre avanti ed essere consapevoli che la vita continua sempre, nonostante il passato. La storia è ambientata nel periodo pre e post seconda guerra mondiale, gira attorno alla costruzione di una diga, in una località particolare dove due identità si scontrano, quella tedesca e quella Italiana, e segue un filo narrativo che intreccia la storia di Trina in quella del vecchio Curon, ora Curon Venosta. Questo fatto è stato affascinante per me, in quanto ha creato una consapevolezza, dalla prospettiva di Trina, della forza, resilienza e coraggio di una donna di fronte all’avversità, in aggiunta del dovere di proteggere quello che rappresenta la nostra identità e preservare le nostre radici al fine di non dimenticare mai quel che è stato.
[Recensione di Noemi, classe 3^ G, Scuola Italiana Statale di Addis Abeba – Etiopia]
Questo libro racconta la storia di Curon e in particolare quella di una famiglia. Curon era un piccolo paesino che si trovava in Alto Adige, vicino ai confini con l’Austria. Trina, la narratrice, viveva con il marito Erich e i figli Michael e Marica – alla quale è dedicata la storia – a Curon, oggi sommersa dalle acque della diga che fecero costruire gli italiani nel periodo successivo al fascismo e al nazismo.
I protagonisti soffrono molto a causa di fatti che si susseguono, uno dopo l’altro, ad esempio il passaggio dal fascismo al nazismo, che avvenne senza una pausa intermedia. Nonostante tutto, Trina è forte, racconta in modo secco e diretto, senza lasciarsi travolgere dai propri sentimenti ed emozioni. Riesce, dopo tutte le sue sofferenze, ad andare avanti, perché, come diceva la sua Ma’: “Andare avanti è l’unica direzione concessa. Altrimenti Dio ci avrebbe messo gli occhi di lato. Come i pesci.” “Le lingue erano diventate marchi di razza. I dittatori le avevano trasformate in armi e dichiarazioni di guerra.”
L’argomento dell’appartenenza alla lingua e al proprio paese è sempre presente nel romanzo. Questo lo vediamo soprattutto attraverso Erich, il quale è molto legato a Curon. È un legame forte quello che c’è tra i cittadini di Curon e Curon stessa, che si manifesta attraverso diverse proteste per non lasciarsi travolgere dalla Storia e dalle acque della diga, per far continuare a vivere il loro paese.
L’autore ha usato un linguaggio profondo e semplice allo stesso tempo. È incredibile come un romanzo che tratta soprattutto di argomenti di guerra e sofferenza riesca a nascondere in sé tanti altri significati. L’autore è riuscito a raffigurare la vita abitudinaria, familiare e talvolta frenetica dei personaggi in modo concreto e diretto. Ha fatto, delle parole, il miglior uso possibile: ha fatto in modo che esse arrivassero dritte al cuore di ogni lettore. Per questo, nonostante l’importanza della storia di Curon e della sofferenza di tutta la gente che la abitava, l’idea centrale del libro è stata quella di mettere in risalto l’importanza ma anche l’insignificanza delle parole. Le parole che in un momento potevano “smuovere le montagne” e in un altro “non potevano niente contro […] il silenzio.” Sono state le parole la salvezza morale di tanta gente, il rifugio nel quale nascondersi, con il quale allontanarsi dal dolore per la perdita del proprio paese, della propria famiglia. E lo sono ancora oggi.
Noi siamo quello che scriviamo, noi siamo le parole.
Marco Balzano, Resto qui, Einaudi, 2017